Si può essere antimafiosi e, nello stesso tempo, garantisti, non violenti o, persino, gandhiani? Si può appartenere alla società civile e – come accade in tutti i posti della terra in cui una comunità si definisce società civile – non fare parte di cartelli antimafia?
Forse è anche un modo per rispondere a queste domande il convegno organizzato dal Partito Radicale sulla revisione delle misure di prevenzione antimafia che ha avuto luogo ai Cantieri Culturali della Zisa, sotto il patrocinio dell’assessorato alla Cultura. Un tema che, fino a non molto tempo fa, era considerato tabù, anche in anni nei quali l’ emergenza si poteva già considerare superata.
E duole che il tema sia uscito dal cono d’ombra non tanto per ragioni legate alla legge, alla dottrina e alla giurisprudenza, oppure per un evidente imbarbarimento della vita civile, quanto per episodi di cronaca giudiziaria. Il Partito Radicale può ricoprire un ruolo interessante in questo passaggio. Perchè, attraverso la dimensione transpartitica, può raccogliere consensi intorno a una riforma del sistema in tutte le aree politiche e, quindi, in tutti i partiti rappresentati in Parlamento. Magari approfittando, pure, di un momento di passaggio nel quale la revisione complessiva delle regole può riguardare anche quello che è stato definito un sistema di sicurezza pubblica fondato sul sospetto. Che ha colpito, e potrebbe ancora colpire, non solo il colpevole socialmente pericoloso ma, anche, quello non pericoloso. O financo l’innocente.
E, invece, occorrerebbe una gradualità che impedisca di aggredire facilmente il patrimonio, perchè salvare un’ azienda significa salvare posti di lavoro invece che, paradossalmente, favorire il sistema che alimenta la manovalanza mafiosa. O, forse, perchè sequestrare o confiscare i beni di qualcuno semplicemente non è giusto. Ritornare al processo ordinario significherebbe prendere atto che una condizione di eccezionalità è cessata. Un atto di coraggio che, con tutta probabilità, non tutti saranno disposti a fare. (Sergio Scialabba)