La nuova sfida dello Stato (di Sergio Scialabba)

Giovanni Falcone

Se ha ancora un senso che non sia quello, pur doveroso, di ricordare un fatto storico di enorme portata, esso è quello di prendere a pretesto la strage di Capaci per tornare semplicemente allo Stato, alla sua funzione e al suo futuro.

All’inizio del millennio, in una delle manifestazioni del 23 maggio che cadeva vicina al momento dell’ingresso della Cina nel Wto, in una affollata sala liberty di Villa Igiea, il celebre albergo sul mare della capitale della Sicilia, risuonarono le intelligenti parole del giudice Falcone.

Durante una conferenza tenutasi anni prima, Falcone aveva fatto riferimento ad istituzioni pubbliche e, in particolare, ad istituzioni non di mercato, quelle strutture che non hanno influenza diretta sull’economia, ma sovraintendono alle politiche pubbliche nettamente dal lato di utenti, fruitori di servizi, cittadini.

Un mercato grande quanto il pianeta, mafie ramificate e competenti, collegate tra loro, si scontrava con i bisogni della gente, dando vita a nuove sfide.

Oggi la guerra crea una nuova prospettiva che – per la verità – è antica. Di fronte ad uno scenario come quella modificato dall’invasione russa dell’Ucraina, lo Stato deve cambiare forma. Perchè è una emergenza. Aumentano i silenzi, a cominciare da come si finanzia una guerra, ma non solo.

La sicurezza impone scelte (che nella maggior parte dei casi non sono rese pubbliche) perchè anche una telefonata, una transazione finanziaria o un luogo aperto al pubblico invece che chiuso possono presentare dei rischi.

A perderci sono bisogni collettivi, invero mortificati come mai prima, i meriti vengono riconosciuti con maggiore difficoltà, perchè per la crescita di singoli e territori il clima di guerra non è mai propizio.

In generale la pace genera le condizioni migliori per avere più cultura, più sviluppo, più solidarietà. Non ci sono responsabilità precise, lo spirito della guerra si fa largo, si impone e rovina tutto ciò che tocca.

L’Italia affronta però un’altra emergenza. La Romagna con i suoi 36mila sfollati, il danno a siti produttivi, agricoltura, patrimonio culturale. Di fronte alla realtà, a fatti con i quali non si può discutere o ragionare occorre agire, con rapidità e concretezza. E a farlo deve essere una entità superiore che nasce per questo (anche se poi spesso se ne dimentica).

Ritorna, insomma, lo Stato come regolatore, amministratore, come governo. Non per fare grandi opere o allocare risorse per bisogni specifici, ma per costruire, o ricostruire, dalle fondamenta, prendendo come punto di partenza esigenze basilari.

Quando Giovanni Falcone fece riferimento al rapporto tra mafia e globalizzazione, il fenomeno era nella sua fase ascendente, una costante erosione dello Stato, perchè se non riusciva a perforarlo, tanto valeva farlo crollare. Ma il riferimento alla globalizzazione era anche nelle possibilità che apriva alla mafia, grazie alla nascita di nuovi mondi che dal lato del crimine sono mondi criminali con nuovi crimini e nuovi guadagni.

Oggi la crisi della globalizzazione si intreccia con altre novità, che sono bisogni antichi e che rimettono al centro lo Stato. Case, acqua, fognature, strade a chi le ha perdute perchè è successo un finimondo sono esigenze troppo pressanti per non fare la lotta alla mafia con fatti rapidi e concreti.

Verrà poi il tempo di cercare le cause di tutto questo a monte, le strategie miopi e forse folli dello Stato e delle istituzioni sovranazionali che avrebbero dovuto prevedere, indirizzare. E che hanno cominciato a sbagliare strada quando, in quella sala liberty di Villa Igiea, all’inizio del millennio, risuonavano le parole di Falcone. Parlava di mafia ma era già molto di più. (Sergio Scialabba)

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