
L’analisi del contesto economico – A cura della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo dice che l’economia italiana chiude il 2022 con una crescita significativa del Pil (stimata al 3,8 per cento), un risultato superiore alla media dell’Area Euro (3,4 per cento), raggiunto grazie alla ripresa post-pandemica del turismo, al traino delle costruzioni (sostenute dagli incentivi alle ristrutturazioni) e alla buona tenuta dell’industria manifatturiera, che conferma la sua competitività a livello internazionale.
Nel 2023, la fiammata inflazionistica causata dalla crisi energetica, la conseguente restrizione monetaria e il clima di generale incertezza peseranno su consumi e investimenti, con effetti di rallentamento sul ciclo europeo: il Pil italiano è atteso crescere dello 0,6 per cento, poco al di sopra della media dell’Area Euro (0,3 per cento).
In questo scenario diverranno ancora più cruciali gli interventi volti a supportare la transizione green ed energetica, la digitalizzazione, l’innovazione e il capitale umano. Sul fronte energetico è auspicabile un’accelerazione nell’utilizzo delle energie rinnovabili, per
diversificare le fonti e ridurre la dipendenza dall’estero.
L’Italia ha raggiunto già nel 2014 il target 2020 sui consumi di energia da fonti rinnovabili (fissato al 17 per cento), ma il ritmo delle installazioni Fer è insufficiente in vista degli obiettivi al 2030, che puntano al raddoppio della capacità attuale (inferiore ai 60 gigawatt).
Inoltre, la siccità che continua a mettere sotto pressione il comparto idroelettrico impone di intensificare l’utilizzo delle altre tecnologie, a partire dal fotovoltaico, che ha conosciuto un exploit di diffusione nel periodo 2007-13 per poi rallentare.
Un contributo rilevante alla crescita del fotovoltaico è stato dato dal settore industriale, che rappresentava a fine 2021 il 48 per cento della potenza installata nel nostro Paese (fonte rapporto Statistico Solare Fotovoltaico 2021). Campania, Calabria e Sicilia, in particolare, con circa 7 mila impianti fotovoltaici industriali e oltre 1.400 megawatt rappresentano il 13-14 per cento della potenza complessiva nel settore industriale italiano.
Elevato anche il livello di autoconsumo, ovvero la percentuale di energia consumata a partire da quella prodotta, che in Campania è del 68 per cento, il valore più elevato tra le regioni del Mezzogiorno; in Calabria e Sicilia si scende al 53 per cento.
La transizione energetica si inserisce in un contesto più ampio di transizione green e di ripensamento dell’intero sistema industriale, agendo su circolarità e scelta di nuovi materiali e prodotti con elevati standard ambientali, sempre più prioritari per consentire alle imprese di essere partner di riferimento sui mercati internazionali.
Secondo il censimento permanente Istat (imprese con almeno 3 addetti), in Campania, Calabria e Sicilia sarebbero circa l’82 per cento le imprese (81 per cento in Campania, 86 per cento in Calabria e 82 per cento in Sicilia) che hanno adottato strategie di sostenibilità (circa 125 mila imprese), con punte del 90 per cento tra le imprese medio-grandi.
Le azioni più diffuse sono quelle volte a ridurre l’impatto ambientale della propria attività (70 per cento in Campania, 73 per cento in Calabria e 69 per cento in Sicilia) e a incrementare i livelli di sicurezza interni ed esterni all’azienda (67 per cento in Campania, 73 per cento in Calabria e 69 per cento in Sicilia).
Particolarmente sentito anche l’impegno sociale, con iniziative volte al benessere del territorio e della comunità. Circa il 60 per cento delle aziende del territorio effettua la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti (57 per cento in Campania, 60 per cento in Calabria e 58 per cento in Sicilia) e più del 40 per cento adotta una gestione mirata al contenimento degli inquinanti (40 per cento in Campania e Sicilia e 42 per cento in Calabria), al risparmio del materiale nei processi produttivi (36 per cento in Campania, 38 per cento in Calabria e Sicilia) e al contenimento dei consumi di acqua (43 per cento in Campania, 47 in Calabria e 46 per cento in Sicilia).
La transizione verso modelli di business più sostenibili punta poi verso una crescente attenzione alla Ricerca e Sviluppo (R&S), all’innovazione e alla digitalizzazione. La Ricerca e Sviluppo rappresenta una variabile strategica, in grado di innalzare il contenuto tecnologico dei prodotti e servizi offerti.
Nell’ultimo decennio, l’Italia ha mostrato un trend crescente delle spese in R&S (interrotto solo dal difficile 2020), passando dai 20,5 miliardi di euro del 2012 (anno di introduzione del credito d’imposta dedicato) ai 26,5 miliardi del 2021.
Il confronto con i principali concorrenti europei, che si ferma alla fase pre-pandemica, evidenzia però un gap ancora da colmare per il nostro Paese: 1,5 per cento le spese italiane in R&S in percentuale sul Pil nel 2019, 2,2 per cento la media UE27.
Il quadro, eterogeneo a livello territoriale, vede la Campania posizionarsi al primo posto tra le regioni del Mezzogiorno, con un’incidenza dell’1,3 per cento delle spese in R&S sul Pil, grazie anche all’apporto della componente pubblica (istituzioni pubbliche, università, no profit), poco sotto la media nazionale.
Inferiori alla media dell’area, invece, i dati di Calabria 0,62 per cento e Sicilia 0,91 per cento. L’innovazione, intesa come attività che introduce nuovi modelli e/o processi produttivi, o sviluppa nuove tecnologie, è fondamentale per restare competitivi nel panorama internazionale, innalzando il potenziale di crescita e la capacità di creare valore della nostra economia.
L’indagine sull’innovazione delle imprese con almeno 10 addetti mostra una quota di imprese che ha introdotto innovazioni tecnologiche (di prodotto e/o di processo) pari al 41,4 per cento nelle 3 regioni (43 per cento in Campania, 45 per cento in Calabria e 37 per cento in Sicilia) a fronte di una media nazionale del 45,9 per cento.
Inoltre, si evidenzia l’ottimo posizionamento della Campania sul fronte delle start-up tecnologiche: con oltre 1.400 start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese a gennaio 2023, la Campania si colloca al terzo posto nel panorama nazionale (dove si contano 14.200 unità), dietro la Lombardia e il Lazio.
Settimo posto per la Sicilia con oltre 700 start-up e tredicesima la Calabria con 256 imprese. Gran parte di queste imprese è specializzata in servizi avanzati, principalmente produzione di software e consulenza informatica, attività di R&S, elaborazioni dati, hosting, portali web.
La presenza delle start-up può accelerare anche i processi di digitalizzazione. Su questo fronte, l’Italia ha compiuto significativi progressi negli ultimi anni, salendo al 18simo posto nell’indice Desi 2022 (Digital Economy and Society Index) della Commissione Europea, tra i 27 stati Ue, grazie al miglior posizionamento delle componenti legate alla connettività e all’integrazione delle tecnologie digitali (in particolare utilizzo di servizi cloud e fatturazione elettronica).
A livello territoriale si evidenzia una distinzione tra regioni del Centro-Nord e regioni del Sud che si collocano nella seconda parte della classifica con punteggi inferiori alla media italiana: nell’elaborazione dell’indice Desi 2021 a livello territoriale sviluppata dal Politecnico di Milano, la Campania ha realizzato un punteggio di 44,3, la Calabria di 38,5 e la Sicilia di 42,4 rispetto alla media italiana di 50 punti.
Il divario tra Italia e competitor europei emerge in particolar modo nelle competenze digitali, dove il nostro paese si colloca in 25esima posizione nell’indice Desi 2022. Il successo del processo di sviluppo e digitalizzazione necessita di una progressiva valorizzazione del capitale umano: inserimento in azienda di giovani con elevate competenze, ma anche maggior attenzione alla formazione permanente.
Inoltre, l’Italia presenta una scarsa capacità di trattenere i laureati: tra il 2015 e il 2020, il numero degli emigrati con laurea è cresciuto del 17 per cento e nel 2020 Campania, Calabria e Sicilia hanno registrato un saldo negativo di oltre 15 mila laureati.
Le azioni volte al miglioramento del benessere lavorativo dei dipendenti in azienda potrebbero in parte attenuare questi problemi in futuro. Le imprese del territorio spiccano per un buon ricorso a misure volte allo sviluppo professionale dei dipendenti (46 per cento in Campania e Sicilia, 51 per cento in Calabria), al loro coinvolgimento nella definizione degli obiettivi aziendali (40 per cento in Campania, 47 per cento in Calabria e 41 per cento in Sicilia), alla tutela delle pari opportunità (43 per cento in Campania, 48 per cento in Calabria e 45 per cento in Sicilia).
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Economia, innovazione, turismo: tutti i nodi restano irrisolti (di Sergio Scialabba)