
E’ sempre di gran classe, un motivo di grande fascino, tradizionale, sensibile a variazioni sul tema, che conferisce un senso di preziosità, di esotismo, talora di mistero. Qualche stilista lo ha amato così tanto da produrre una identificazione con il proprio marchio.
Paisley nei foulard, nelle camicie e, spessissimo, nelle cravatte, profuso generosamente. Importata dall’Oriente, quella forma di goccia compariva replicata tante e tante volte negli scialli del Cashmere, da qui disegni cashmere.
Ma poi chiamati paisley, perchè il posto dove si producevano i tessuti con questo disegno, la destinazione cui giungevano dopo mirabolanti navigazioni lungo le strade del mare, quelle del commercio britannico e mondiale come mondiale è stato il potere degli inglesi, era una cittadina scozzese che porta quel nome.
E quindi Cashmere o Paisley, passando, però, attraverso lo stile psichedelico, i favolosi anni Sessanta, i Beatles e quella capitale cosmopolita delle tendenze e della moda che è stata ed è, tuttora, Londra. L’immersione nel bagno dell’immaginazione, della cultura popolare, una tecnica per colorare ogni cosa inventata in Occidente. E non ci sono dubbi che l’arte del marketing è propria di questo emisfero se non quello che non ci sia dietro qualche disegno quando si inventa qualcosa, nel senso di raggiro, macchinazione o che.
Ma la buta, il nome che, in India e Pakistan, danno al mango ed, effettivamente, provate a tagliare a metà quel frutto prelibato e otterrete le fattezze del simbolo, rimanderebbe, altresì, a un cipresso stilizzato.
Albero tra i simboli dello Zoroastrismo, la religione praticata in Asia millenni fa che suscita in tanti curiosità e, forse, inquietudine. Quella che non destano una cravatta o uno scialle con i mitici disegni salvo, in qualche caso, al momento di controllare il prezzo. (Sergio Scialabba)
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