
(Carmela Corso) Lunghi applausi ed una platea entusiasta hanno decretato il successo della Quinta Sinfonia di Mahler, eseguita ieri dall’ Orchestra del Teatro Massimo diretta dalla bacchetta di Hartmut Haenchen. Intensità e fascino per uno spettacolo dal forte impatto emotivo.
Scritta tra il 1901 e il 1902 nel periodo in cui Mahler conobbe e poi Alma Schindler, ed eseguita per la prima volta a Colonia, nel Tonkünstlersaal, il 18 Ottobre 1904, la Quinta Sinfonia è la più celebre ed eseguita composizione del grande maestro. Un viaggio quasi onirico tra il tormento e la tragedia, tradotto dal compositore austriaco in un meraviglioso sonetto musicale, condotto con sapiente maestria da Hartmut Haenchen che, come un moderno Odisseo, spinge l’orchestra come un vascello che naviga in mare aperto e scorge, in lontananza, la tempesta.
Un’atmosfera cupa, quasi funerea (durante la quale Haenchen dirige senza quasi toccare la bacchetta), solenne e austera, che si fa vieppiù incalzante, resa in un contrappunto melodico, a tempo di marcia, che cavalca l’onda della nevrosi densa di simbologie nascoste e angoscia che esprime, nota dopo nota, un messaggio al tempo stesso macabro e tragico, per lasciare spazio ad un momento di pace, reso in una sorta di allegro in forma sonata.
È un’andatura dolce e malinconica che ha il sapore del ricordo, esaltazione massima della polifonia nigeriana, contrassegnata da da un’oasi lirica attraverso cui la navicella dell’ingegno viene cullata dai virtuosismi degli archi e dei fiati.
Ma è un sollievo effimero che prepara l’animo a nuovi turbamenti che lasciano lo spettatore – catturato e quasi ingannato da un crescendo sulfureo (lo stesso che Luchino Visconti scelse come colonna sonora di Morte a Venezia) -rinominare in una nuova e ambigua angoscia.