
I lavoratori italiani utilizzano mediamente 9 anglicismi al giorno nel corso della propria giornata in ufficio, tra e.mail, riunioni e telefonate.
A rivelarlo è Preply, piattaforma globale di apprendimento delle lingue, che ha condotto uno studio dedicato al Business Jargon, il gergo aziendale, con l’obiettivo di scoprire in che modo gli italiani, sul luogo di lavoro, facciano uso di anglicismi e neologismi di derivazione anglofona.
Emerge che quasi la metà degli intervistati li utilizza nelle e.mail, nelle telefonate o parlando con i colleghi tra le 6 e le 10 volte al giorno; solo il 3 per cento riesce a farne completamente a meno, e sono soprattutto persone che hanno più di 55 anni.
Non tutti gli italiani, però, si sentono a loro agio nell’utilizzare anglicismi e neologismi di derivazione anglofona, con un quarto dei lavoratori che preferirebbe usare sinonimi o espressioni equivalenti in italiano per limitare il più possibile l’uso di parole inglesi.
Da team a feedback, passando per brieffare e forwardare, lo studio di Preply ha, quindi, scoperto non solo quali sono gli anglicismi e i neologismi di origine inglese che più facilmente si incontrano tra scrivanie e sale riunioni ma, anche, quelli che gli italiani preferirebbero bandire dagli uffici, tanto li reputano fastidiosi.
L’anglicismo più diffuso negli uffici italiani secondo Preply è team, ovvero il gruppo di lavoro, utilizzato dal 39 per cento degli intervistati per indicare il proprio gruppo di lavoro.
Seguono meeting con il significato di riunione (37 per cento) e feedback usato dal 35 per cento dei lavoratori italiani per fare riferimento a un riscontro ricevuto (o fornito) su materiali, e.mail o domande specifiche.
Fuori dal podio, a completare la Top 10 si trovano: call (30 per cento), report (27 per cento), webinar (25 per cento), target (23 per cento), slide (22 per cento), leader (21 per cento) e partner (20 per cento).
Il gergo aziendale non incontra però il gradimento di tutti: l’indagine di Preply svela, infatti, anche gli anglicismi che risultano più fastidiosi per gli italiani. A guidare la classifica c’è Asap.
L’espressione, acronimo di As Soon As Possible, da tradurre con il prima possibile, è particolarmente sgradita a chi lavora nei settori del commercio al dettaglio, della ristorazione e del tempo libero, oltre a quello delle vendite, dei media e del marketing.
Tra gli anglicismi meno apprezzati negli uffici italiani seguono poi briefing, call e – subito fuori dal podio – meeting: termini che fanno riferimento a diversi tipi di riunioni o brevi chiamate virtuali di aggiornamento.
Emergono, poi, skill, che indica un’abilità o competenza, webinar (evento online) e win win, espressione che indica una situazione da cui tutte le parti escono soddisfatte.
Seguono – all’ottavo posto a pari merito – la tecnica creativa di gruppo del brainstorming, la deadline che indica la data di scadenza per la consegna di progetti o lavori, agreement (accordo), workshop da tradursi con seminario o gruppo di lavoro, storytelling, ovvero l’arte della narrativa, e target, per indicare il pubblico di riferimento di un prodotto o di una campagna pubblicitaria.
A chiudere la top 10 il termine team building, cioè l’insieme di attività formative il cui scopo è la formazione di un gruppo di lavoro affiatato, e mood, termine usato per designare uno stato d’animo ma anche un’atmosfera.
Negli ambienti di lavoro si utilizzano spesso anche i neologismi di origine anglofona. Si tratta di parole che derivano dall’inglese, ma a cui sono stati affiancati prefissi o suffissi italiani, entrando a far parte del linguaggio parlato e scritto.
Stando allo studio di Preply, nei confronti di questi termini gli italiani si mostrano piuttosto insofferenti. Uno su 3 non apprezza il verbo brieffare, derivato dall’inglese brief (istruzioni/ragguaglio). Non sono amate neanche le parole sharare (29 per cento) e downloadare (28 per cento), traducibili con condividere e scaricare.
L’aggettivo skillato, da riferire a una persona con conoscenze e capacità adatte per svolgere un determinato compito, non piace al 26 per cento dei lavoratori italiani, così come il verbo forwardare (25 per cento), che sta per inoltrare.
Nella classifica spunta anche pitchare, fastidioso per il 24 per cento degli italiani, che indica il tenere un discorso breve con l’obiettivo di catturare l’attenzione di chi ascolta. I verbi pingare — usato per sollecitare una risposta da qualcuno — e googlare — cioè effettuare una ricerca online tramite Google – raccolgono le antipatie del 23 per cento degli italiani.
Seguono con il 22 per cento uploadare (caricare un file) e freezare, dall’inglese to freeze che significa “congelare”, “bloccare”: in ambito informatico si usa per indicare il blocco di uno schermo, di un programma, di un dispositivo o di un’applicazione.
Un terzo degli italiani pensa che le parole inglesi siano fondamentali per esprimersi al meglio nel contesto lavorativo di riferimento. Se ne fa uso, nel 35 per cento dei casi nelle e.mail, mentre il 33 per cento degli italiani intervistati da Preply li include anche in riunioni e conversazioni sia formali che informali.
A farne ampio uso sono soprattutto coloro che lavorano nel settore delle risorse umane (in media 12 al giorno), in quello informatico (11), ma anche in quello delle telecomunicazioni (10). (Redazione)
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